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mercoledì 1 maggio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il primo maggio.
Il primo maggio 1282 ebbe luogo la cosiddetta carneficina di Forlì.
L’evento di sangue, noto anche come la “Battaglia di Forlì”, si svolse tra un esercito reclutato in Francia, inviato da papa Martino IV nel tentativo di sottomettere i ghibellini forlivesi. Le truppe pontificie furono sconfitte grazie all’abilità strategica di Guido da Montefeltro e del suo consigliere, l’astrologo Guido Bonatti. L’episodio è ricordato nella “Divina Commedia” da Dante Alighieri, il quale, una ventina d’anni dopo quell’evento, fu a Forlì, ospite di Scarpetta degli Ordelaffi, signore della città, per cui svolse mansioni di segretario.
Nel Canto XXVII dell’Inferno, dopo aver incontrato Ulisse, Virgilio e il Sommo Poeta s’imbattono in Guido da Montefeltro. Questi domanda all’esule fiorentino in che stato si trovi la Romagna. Com’è noto dal canto di Farinata degli Uberti, i dannati sono in grado di vedere il futuro ma non il presente. Il montefeltrano porta nel cuore la Romagna, la dolce terra in cui a lungo visse e che ricorda con affetto e malinconia. La risposta di Dante sta in tre endecasillabi (vv 37-39): “Romagna tua non è, e non fu mai / Senza guerra né cuor de’ suoi tiranni, / Ma palese nessuna or ven lasciai”. Il senso di queste parole va ricercato nei fatti storici. All’inizio del XIII secolo i signori di Romagna continuavano ad avere sempre la guerra al primo posto nei loro desideri, anche se, nel momento in cui Dante scrive, non vi erano conflitti in atto, giacché nell’aprile del 1300, a Castel San Pietro, si era sancita la completa pacificazione di queste terre.
In tre rapidi endecasillabi (“La terra che fé già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio, / sotto le branche verdi si ritrova”, vv 43-45) Dante parla anche di Forlì, definendola “La terra che fé già la lunga prova”, ove per “lunga prova” il poeta intende la professione di fede ghibellina che portò alla prolungata resistenza al papa.
Nel verso seguente (“e di Franceschi sanguinoso mucchio”) l’Alighieri tratteggia l’episodio della Battaglia di Forlì, il trionfo militare di cui si resero protagonisti Guido da Montefeltro e Guido Bonatti.
Per narrare i cruenti fatti che avvennero nei giorni a cavallo tra l’aprile e il maggio del 1282, ci spostiamo nell’attuale piazza Saffi dove, su un lato del campanile di San Mercuriale, è posta una piccola iscrizione su cui sono riportati i tre celeberrimi e già citati endecasillabi danteschi (“La terra che fé già…”). Pare che il punto d’osservazione dell’astrologo Bonatti fosse proprio in cima al campanile, nella cella campanaria dell’Abbazia di San Mercuriale, il punto più alto della città da cui poter ammirare il firmamento.
Alla fine del 1281 l’esercito francese aveva cinto d’assedio la città, rimasta forse l’ultima roccaforte ghibellina in Italia. Per sottomettere alla sua giurisdizione la ribelle Forlì, il pontefice Martino IV aveva inviato in Romagna il fior fiore del suo esercito, composto da francesi e guelfi italiani, guidato dal generale Giovanni d’Appia, anch’esso transalpino.
Le truppe papaline si erano accampate nei borghi appena fuori le mura di Forlì e li avevano rasi al suolo. Dopo alcuni mesi d’assedio, la città era stremata dalla fame e dalle privazioni ed era sul punto di arrendersi. Fu allora che il condottiero dei forlivesi, Guido da Montefeltro, consigliato dal saggio e anziano Guido Bonatti, giocò l’ultima carta per tendere una trappola all’esercito guelfo. Un escamotage che si rivelò un vero e proprio “cavallo di Troia” vincente. L’idea del montefeltrano era di lasciare campo libero ai francesi, mentre dall’alto del campanile l’astrologo Bonatti, con un segnale convenuto, avrebbe guidato la resistenza forlivese.
Il capitano del Popolo aveva consultato l’astrologo, il quale si era dichiarato certo riguardo al buon esito della battaglia. Bonatti aveva osservato che Marte stava entrando in Capricorno, la costellazione alla quale è legata la città. Spinse perciò allo scontro, profetizzando la vittoria. Secondo alcune fonti pare anche che Bonatti avesse predetto il proprio ferimento durante l’assedio, cosa che poi in effetti si avverò.
Nella notte tra il 30 aprile e il 1º maggio 1282, dal piano si passò all’azione: Guido da Montefeltro e i suoi uomini, col favore delle tenebre, uscirono di nascosto dalle mura e si appostarono nei dintorni della città mentre un altro gruppo di armati si nascondeva nel centro cittadino.
La mattina seguente i forlivesi finsero la resa, aprendo le porte della città e tributando grandi onori ai soldati francesi, i quali, ben felici di non aver rischiato la vita in uno scontro corpo a corpo con i ghibellini, passarono la giornata tra feste e bagordi, gozzovigliando a più non posso, depredando le dispense delle case, facendo incetta di vino e libagioni. Di certo non si salvarono le donne che furono, loro malgrado, vittime delle attenzioni particolari dei soldatacci del papa.
Sta di fatto che gli uomini di d’Appia, tra una bevuta e l’altra, tra una mangiata e una violenza, ubriachi e fiaccati nel fisico, al calare della sera si stesero a riposare ovunque capitasse.
Fu allora che Bonatti salì sul campanile di San Mercuriale e, secondo alcune fonti suonò le campane, secondo altre accese un fuoco. Era il segnale convenuto. Dalle case in cui si erano nascosti e dalle porte riaperte della città, i soldati forlivesi irruppero sui francesi, travolgendoli e sterminandoli a colpi di lancia e di spada.
La vittoria di Guido da Montefeltro provocò molte centinaia di morti (c’è chi parla di 700, chi di 2.000) e spezzò la fama d’invincibilità di cui le truppe francesi godevano da lungo tempo.
Grazie all’intervento dei Battuti Neri, i caduti vennero onorevolmente sepolti in una grande fossa comune, scavata sul lato est della piazza, a ridosso del cimitero dell’abbazia. Come pietoso ricordo delle tante vittime fu eretta una cappella, la Crocetta, che era posta in posizione quasi frontale rispetto all’attuale via Allegretti. Senza il consenso della civica magistratura e tra il malcontento della popolazione, la Crocetta fu demolita nel 1616 per ordine del legato pontificio, il quale voleva probabilmente eliminare un monumento ormai vecchio e ingombrante e comunque scomodo alla Chiesa per ciò che ricordava.

martedì 30 aprile 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 30 aprile.
Il 30 aprile 1994, durante la sessione di qualifiche valida per il Gran Premio di San Marino sul circuito di Imola, la Simtek del pilota austriaco Roland Ratzenberger uscì di pista ad altissima velocità causando la morte del 34enne. .
Una vita dedicata all’automobilismo e alle corse. Così si può definire l’esistenza di Roland Ratzenberger, austriaco di Salisburgo nato il 4 luglio del 1960. Prima di raggiungere il traguardo della Formula 1, categoria nella quale ebbe accesso alla non giovanissima età di 34 anni, l’austriaco si era creato la fama del pilota da ottimo potenziale negli anni ’80, quando si era fatto le ossa e la gavetta nelle serie minori, e nei primi anni ’90, periodo in cui aveva partecipato ben quattro volte alla prestigiosa 24 Ore di Le Mans.
Ma la grande occasione della vita arriva nel 1994. In quell’anno, dopo svariati tentativi in passato, prende parte per la prima volta al campionato di Formula 1 il team Simtek, fondato nel 1989 da Max Mosley e supportato da una solida sponsorizzazione proveniente dall’emittente televisiva MTV.
I vertici della neonata squadra decidono di puntare su David Brabham (figlio del tre volte campione del mondo Jack) e su di lui: Roland Ratzenberger.
Il sogno di una vita intera finalmente si realizza, ma il primo impatto con il grande circus è tutt’altro che positivo. In Brasile, al primo appuntamento della stagione, non riesce nemmeno a qualificarsi per la gara, rovinando il suo debutto. Nella successiva gara però, sul nuovissimo circuito di Ti Aida in Giappone (Gp del Pacifico), l’austriaco riesce a rifarsi alla grande, dando dimostrazione delle sue abilità concludendo con un prezioso ed inaspettato 11° posto finale.
Manca insomma l’acuto tanto atteso, ed Imola, terzo prova del calendario, sembra essere l’occasione perfetta per migliorare ulteriormente. Prima di farsi valere in gara però, bisogna affrontare le qualifiche il 30 aprile. Nel paddock non si respira un’aria serena, con i piloti visibilmente spaventati e polemici sulle condizioni di sicurezza del tracciato dopo aver visto l’incidente di Rubens Barrichello nel corso delle prove libere, con il brasiliano vittima di un brutto impatto con le barriere dal quale ne esce con un naso fratturato e una leggera amnesia, per non parlare di varie escoriazioni al volto.
Al via delle qualifiche i piloti scendono in pista, e tra i tanti parte per il proprio tentativo anche Ratzenberger. Alla curva Villeneuve, però, incombe la tragedia. A causa di un contatto maldestro con un cordolo, l’ala anteriore della monoposto si rompe proprio mentre il pilota affronta il rettilineo prima della curva. Perdendo dunque deportanza, ed impossibilitato a sterzare, la monoposto andò a schiantarsi violentemente contro le protezioni ad oltre 300 km/h. Si capisce che la situazione è gravissima una volta che le telecamere vanno ad inquadrare la vettura dopo lo schianto, con il capo del pilota che oscilla preoccupantemente appoggiandosi infine sul bordo dell’abitacolo subito dopo aver finito il testacoda.
La sessione viene immediatamente sospesa con l’esposizione delle bandiere rosse, ed i soccorsi sono tempestivi. Nonostante il rapido intervento dei sanitari, si avverte quanto sia disperata la situazione quando le immagini dall’elicottero riprendono i medici praticare un massaggio cardiaco al pilota.
Viste le gravi ferite alla base cranica, Ratzenberger viene trasportato a bordo di un elicottero all’Ospedale Maggiore di Bologna, dove morirà poco più tardi. In realtà l’austriaco, secondo i risultati dell’autopsia, morì praticamente sul colpo, ma il cuore venne riattivato dal defibrillatore durante le fasi di soccorso, per poi decedere ufficialmente al nosocomio bolognese, quando le qualifiche, che incredibilmente ripresero successivamente, erano già finite. Secondo la legge italiana infatti, dato che la morte del pilota sopraggiunse al di fuori dell’evento sportivo, fu possibile poi svolgere la gara del giorno. Tutto questo tra mille polemiche, visto come andò poi a finire con la morte in gara di Ayrton Senna, il quale il giorno prima, dopo le qualifiche, si fece accompagnare sul luogo dell’incidente dai commissari per valutare di persona come era potuto accadere l’incidente accorso a Roland.
Si venne poi a scoprire, dopo lo schianto di Senna, che il campione del mondo brasiliano aveva portato all’interno del suo abitacolo una bandiera austriaca, che avrebbe poi sventolato al termine della gara per omaggiare il collega scomparso.
Roland Ratzenberger oggi riposa al cimitero di Maxglan, a pochi passi dalla sua città natale di Salisburgo. C’è chi dice che la sua è stata una morte ricordata solo perché il giorno dopo se ne andò il grande Ayrton Senna, molto più titolato e famoso di lui.
Ma per chi ammira la Formula 1 un pensiero del genere non potrà mai essere pienamente condiviso. Chi ci ha rimesso la pelle seguendo un sogno va ricordato per sempre non solo per una questione di rispetto verso la persona, ma proprio perché se n’è andato facendo qualcosa che amava.

lunedì 29 aprile 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 29 aprile.
Il 29 aprile 1665 Gian Lorenzo Bernini parte per la Francia, con l'intenzione di lavorare alla ristrutturazione del Louvre, la residenza reale.
Dominatore del secolo in cui visse, con la sua personalità, il suo genio, le sue imprese artistiche, Gian Lorenzo Bernini è stato per Roma e per il Seicento quello che Michelangelo Buonarroti è stato per il secolo precedente.
Gian Lorenzo Bernini nasce a Napoli il 7 dicembre 1598 dove il padre Pietro, sculture, e la madre Angelica Galante si erano da poco trasferiti. Nel 1606 la famiglia fa ritorno a Roma: Pietro ottiene la protezione del cardinale Scipione Borghese. In questo contesto ci sarà occasione per il giovane Bernini di mostrare il suo precoce talento.
Gian Lorenzo si forma alla bottega del padre e con lui realizza i suoi primi lavori. Tra le sue opere principali di questo periodo vi sono il "Ratto di Proserpina" (1620-23), "Apollo e Dafne" (1624-25) e il "David": a differenza dei David di Michelangelo e Donatello, Bernini s'interessa al momento di massimo dinamismo, quando l'energia esplode e si fa manifesta nel tendersi dei muscoli, nella violenta torsione a spirale del busto e nella fierezza del volto.
Le opere del Bernini definiscono la sua personalità, forte degli insegnamenti del padre ma nello stesso tempo innovatore dello spirito di tutta una generazione.
E' ancora giovanissimo quando papa Urbano VIII Barberini, con il quale l'artista stabilirà un durevole e proficuo rapporto di lavoro, gli commissiona il "Baldacchino di S. Pietro" (1624-1633), un colosso bronzeo di quasi trenta metri. L'opera si erige sulla tomba di Pietro ed è sostenuto da quattro colonne che colmano lo spazio sotto la cupola della Basilica, che s'attorcigliano sul loro fusto come enormi rampicanti, e che sono raccordate in alto da una incastellatura di volute a "dorso di delfino". Quest'opera non può considerarsi un'architettura, né una scultura, né una pittura, ma centra perfettamente lo scopo.
Nel 1629 Papa Urbano VIII nomina Bernini architetto sovrintendente alla Fabbrica di S. Pietro. Le fontane sono un prodotto tipico del gusto barocco; Bernini inaugura una nuova tipologia, quella a vasca ribassata: sempre per il papa esegue la "Fontana del Tritone" in Piazza Barberini e la "Fontana della Barcaccia" in Piazza di Spagna, a Roma.
Tra il 1628 ed il 1647 realizza la "Tomba di Urbano VIII" nella Basilica di San Pietro. Sempre in questo periodo realizza due dei suoi busti-ritratto più famosi: quelli di Scipione Borghese e Costanza Buonarelli, visi senza segreti che si mostrano in tutte le loro sfumature caratteriali.
Nel 1644 muore papa Urbano VIII e si scatenarono le gelosie rivali tra Bernini e Borromini, con il quale ebbe ripetuti attacchi e polemiche in occasione dei lavori per la facciata di Palazzo Barberini, sin dal 1630.
In seguito Gian Lorenzo Bernini trova l'appoggio di Papa Innocenzo X per il quale esegue la decorazione del braccio lungo di S.Pietro e realizza la "Fontana dei Quattro Fiumi" (1644) a Piazza Navona a Roma. In seguito realizza la "Verità", i busti di Innocenzo X Pamphili e il busto di Francesco I D'Este.
Durante il pontificato di Alessandro VII Chigi, Bernini ottiene l'incarico di dare una configurazione confacente per significati e funzioni, alla piazza antistante la Basilica di San Pietro.
Nel 1656 Bernini progetta il colonnato di San Pietro, compiuto nel 1665 con le novantasei statue del coronamento. L'artista riprende lo spirito dell'architettura dell'impero, dandole vita con le colonne e aggiungendo dei particolari scultorei.
Sempre nel 1665 si reca in Francia per eseguire il busto di Luigi XIV. Pur destando ammirazione a Versailles, la fama di Bernini genera nell'ambiente accademico un clima di diffidenza che fa naufragare ogni sua aspettativa, compreso il grandioso progetto per il Louvre di Parigi.
Rientrato in Italia porta a compimento i lavori in San Pietro e si dedica, tra altre attività, al Monumento funebre di Alessandro VII.
Clemente IX Rospigli succede ad Alessandro VII nel 1667: questi affida al Bernini la sistemazione del ponte davanti a Castel Sant'Angelo. Bernini esegue due dei dieci angeli che devono decorare il ponte: vengono giudicati talmente belli che si decide di collocarli nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte per proteggerli dalle intemperie.
L'attività dell'artista si conclude sotto il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi. L'ultima sua scultura è il "Salvatore" che si trova custodita nel Museo Chrysler di Norfolk in Virginia.
Dopo una lunghissima vita dedicata all'arte, dopo aver imposto il suo stile a tutta un'epoca, Gian Lorenzo Bernini muore a Roma il 28 novembre 1680, all'età di 82 anni.
A lui è intitolato il cratere Bernini presente sul pianeta Mercurio. La sua effigie è stata presente sulla banconota da 50.000 Lire italiane.

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